Da Bucarest a Manchester, ecco le città ideali per lo smart working
Non sono solo le grandi metropoli a offrire opportunità di lavoro da remoto.
Quando si pensa allo smart working è facile immaginare che grandi città come Londra e New York offrano maggiori possibilità di lavorare da remoto o come freelance. La realtà, però, è un’altra: secondo la classifica britannica Remote Working Index Report, la città migliore al mondo per quanto riguarda lo smart working è Bucarest, in Romania: ha battuto Houston, Las Vegas, San Francisco, Silicon Valley e Singapore. Roma e Milano si trovano addirittura rispettivamente alle posizioni n. 50 e 49, a causa degli alti prezzi e delle connessioni web molto lente rispetto alle altre città.
Questa classifica, infatti, è stata redatta sulla base di alcuni fattori come, appunto, la velocità della connessione e il costo della vita per un freelance o lavoratore da remoto. In tal senso, in questi ultimi anni Bucarest si è sviluppata moltissimo: è ormai diventata la meta più gettonata delle start up, molte delle quali nate dal sodalizio tra investitori internazionali e giovani professionisti del settore hi-tech, i quali, dopo aver completato gli studi all’estero, tornano in patria per mettere in pratica le competenze apprese fuori. La prova di tutto questo è che nel 2016, ben tre anni prima che a Roma, a Bucarest ha aperto un coworking. Questa città è molto ambita anche per il fermento culturale che è sempre più vivo e costellato di eventi annuali. L’eredità del dittatore Ceausescu comportava infrastrutture tra le più basse d’Europa: negli anni ’90, però, il Paese ha operato una modernizzazione delle stesse da zero e questo ha fatto sì che oggi siano le più potenti del continente. Tutti, infatti, possono avere la banda larga illimitata e veloce a soli 15 euro al mese.
Lo smart working poi va molto bene anche nel Nord Europa che, in realtà, lo ha adottato ormai da molti anni. Grazie allo spirito imprenditoriale, la meritocrazia e la forte digitalizzazione, città come Stoccolma e Helsinki hanno ormai fatto del lavoro da remoto un punto di forza. Ma nella lista delle città che non ci si aspetterebbe così avanzate sotto questo punto di vista ci sono anche le inglesi Newcastle e Manchester, ex centri industriali oggi trasformati in poli tecnologici e creativi. Queste città diventano così delle valide alternative alla caotica Londra, anche per il costo della vita nettamente più basso e un’offerta più ampia per il tempo libero, da trascorrere volendo anche in città, ma in un centro a misura d’uomo, senza lo stress delle grandi metropoli.
Per quanto riguarda l’Italia, sono da segnalare Genova, Palermo e Catania. Il capoluogo ligure, dopo il tragico crollo del Ponte Morandi, ha dovuto trovare metodi alternativi per limitare gli spostamenti dei lavoratori: questa situazione ha dato un forte imput allo smart working ma non solo da casa, anche dai parchi. A Genova è nato infatti il Green Campus, il parco scientifico e tecnologico più grande d’Italia: si tratta di un luogo di aggregazione di aziende e professionisti, ma è aperto anche alla cittadinanza.
A Palermo, invece, è partito il progetto “South Working – lavorare dal Sud”, promosso da alcuni professionisti under 30: in sostanza, lo scopo è quello di riportare i giovani al sud, affinché trascorrano più tempo nel luogo d’origine lavorando a distanza. L’iniziativa è nata da Elena Militello, ricercatrice dell’Università del Lussemburgo e altri 10 giovani dell’Associazione Global Shapers, legata al World Economic Forum e attiva nell’innovazione sociale: l’obiettivo del gruppo è quello di creare una rete di istituzioni, aziende e persone interessati a contratti di lavoro permanenti a distanza e alla creazione di spazi di coworking tra Milano e Palermo. Ma la community dei lavoratori smart del Sud esiste già anche a Catania: si chiama Remote Workers Catania e conta già 600 iscritti che lavorano per aziende del nord o imprese straniere, ma restando in Sicilia. Lo smart working, insomma, sembra iniziare a prendere piede anche in Italia.
(Credits: Getty Images)