Quest’anno l’intelligenza artificiale, ha dominato i titoli dei giornali e molti hanno espresso preoccupazione per i potenziali pericoli derivanti dalla sua invasione nel campo della creatività, dal modo in cui rigurgita materiale protetto da copyright, minacciando le capacità cognitive.
Per questo non ha stupito più di tanto la scelta del celebre magazine Time di eleggerla ‘Persona dell’anno’ assieme ai suoi ‘architetti’. E non è la prima volta che, la rivista opta per un non umano. Nel 1982, il personal computer fu scelto come ‘Macchina dell’anno’; nel 1988, ‘Terra in pericolo’ come ‘Pianeta dell’anno’, e nel 2006, la rivista assegnò il titolo di Persona dell’ anno a ‘You’ per la “rivoluzione” dei primi utenti dei social media come creatori di contenuti.
“Era difficile leggere o guardare qualsiasi cosa senza imbattersi in notizie sul rapido progresso di una tecnologia e sulle persone che la guidavano. Queste storie hanno scatenato milioni di dibattiti su quanto l’intelligenza artificiale avrebbe rivoluzionato le nostre vite. Nessun leader aziendale poteva parlare del futuro senza evocare l’impatto di questa rivoluzione tecnologica. Nessun genitore o insegnante poteva ignorare come il proprio adolescente o studente la stava utilizzando”, spiega la rivista. E dunque, sottolinea: “persona dell’anno è un modo efficace per focalizzare l’attenzione del mondo sulle persone che plasmano le nostre vite nel bene o nel male, e quest’anno, nessuno ha avuto un impatto maggiore di coloro che hanno immaginato, progettato e costruito l’intelligenza artificiale”.
Time osserva come questi progressi comportino dei compromessi: la quantità di energia necessaria per far funzionare questi sistemi, esaurisce le risorse, i posti di lavoro stanno scomparendo; la disinformazione prolifera, mentre i post e i video dell’AI rendono più difficile determinare cosa sia reale. Gli attacchi informatici su larga scala sono possibili senza l’intervento umano. C’è anche una straordinaria concentrazione di potere nelle mani di una manciata di leader aziendali, “un fenomeno che non si vedeva dai tempi della Gilded Age”, avverte la rivista.
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