08 Giugno 2020
Per molti è stato così, un senso di smarrimento li ha pervasi all'idea di riappropriarsi della libertà di movimento, ma perché?
Si è sentito parlare spesso della “Sindrome della capanna” caratterizzata da ansia, malinconia e demotivazione, o semplicemente dalla voglia di non modificare lo status quo, ossia restarsene tranquilli e protetti in casa.
Questa sindrome, generalmente associata alla paura di abbandonare un luogo sicuro, allo stato attuale può essere interpretata come una vera e propria reazione fobica al virus, scatenata da un evento traumatico, ma destinata gradualmente ad attenuarsi, fino a scomparire.
La riflessione ulteriore che ci sprona a fare è legata anche ai ritmi frenetici della vita moderna. Prima del Coronavirus, infatti, tutti eravamo immersi in un turbinio di emozioni e attività senza sosta, o quasi, che spesso ci allontanavo dagli affetti più cari.
La mancanza di tempo era il leitmotiv delle nostre giornate. E poi arriva la pandemia e con essa la paura sì, ma anche la restituzione di un elemento della nostra vita quasi dimenticato: la lentezza. Con il lockdown abbiamo ritrovato il piacere di tutte quelle attività che venivano rimandate, riscoprendole, grazie a ritmi più umani.
E quando finalmente la morsa dell'isolamento è stata allentata, ecco che l'idea di ricominciare con la vita di prima non alletta più. Quasi una sorta di nuova consapevolezza, e non la sindrome della capanna.
In molti adesso si domandano se le vite frenetiche, ansiose e iper-produttive sono ancora, davvero, quello che desiderano.
È forse l'alba di una nuova normalità?
(Foto Getty Images)
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