13 Ottobre 2016
Dario Fo non c’è più e la notizia sembra quasi incredibile, perché l’artista, drammaturgo, attore, pittore, scenografo, Premio Nobel per la letteratura aveva accompagnato e vivacizzato per così tanti anni la vita culturale e sociale italiana e non solo, da essere diventato un punto di riferimento imprescindibile, una vera stella fissa della scena intellettuale.
Scomparso a 90 anni (era infatti nato a Sangiano, in provincia di Varese, nel 1926), per 70 si era dedicato intensamente al teatro, rivoluzionandolo completamente con la sua carica creativa, ironica, comica, dissacrante e lasciandoci adesso opere indimenticabili come “Mistero buffo”, “Settimo ruba un po’meno”, “Morte accidentale di una anarchico”, “Johan Padan a la discoverta de le Americhe”, “Sesso? Grazie, tanto per gradire”, “Isabella, tre caravelle e un cacciaballe”, solo per citarne alcune dalla sconfinata drammaturgia di cui è stato artefice. Accanto a lui, la moglie Franca Rame, compagna d’arte e di vita per quasi sessant’anni, con cui Dario aveva segnato anche la vita politica e sociale italiana, grazie all’impegno comune contro le ingiustizie.
Non solo teatro, ma anche musica, pittura, televisione, cinema: Fo spaziava in ogni ambito artistico con divertita (ma mai superficiale) leggerezza. Aveva anche creato un suo beffardo idioma particolare, il grammelot, che incrociava artisticamente dialetti locali, neologismi e lingue straniere.
E, a premiare un talento tanto eclettico e poliedrico, arrivava anche il Premio Nobel per la Letteratura, assegnatogli nel 1977.
Fama, polemiche, riconoscimenti e impegno non lo avevano mai cambiato. E fino all’ultimo la definizione che l’artista più amava dare di sé era quella del giullare. Che raccontava meglio di ogni altra tutto il suo spirito giocoso, impertinente, creativo e soprattutto teso a mettere in luce le ingiustizie a danno dei deboli. Perché anche la cultura e la letteratura, nella sua visione, potevano davvero cambiare il mondo.
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