Stacanovisti, basta così: arriva lo stop al troppo lavoro
Altro che malati di lavoro come Elon Musk. Tramonta la cultura del lavorare senza sosta
Un disturbo ossessivo-compulsivo, un comportamento patologico di una persona troppo dedicata al lavoro e che pone in secondo piano la sua vita sociale e familiare sino a causare danni a se stessa, al coniuge, ai figli. È la definizione di workaholism, ovvero la sindrome da dipendenza dal lavoro, un termine comparso per la prima volta nel 1971 nel libro dello psicologo Wayne Oates “Confessions of workaholics: the facts about work addiction”.
Una dipendenza che nel corso degli anni in molti hanno trasformato in una sorta di ideologia aziendalista, che vedeva nell’iper-lavoro per la propria compagnia quasi una missione. Esponente massimo di questa corrente di pensiero è probabilmente Elon Musk, che poco dopo aver acquisito Twitter, ha comunicato ai suoi dipendenti che si aspettava un impegno totale e senza sosta da parte loro.
Ma ora pare che le cose stiano cambiando e inizi a tirare un vento un po’ diverso. A partire da un paese in cui la cultura del lavoro quasi senza sosta è qualcosa di millenario, la Cina. Paese dove un paio di anni fa è nato il movimento del "tang ping" (significa "sdraiarsi") come simbolo di protesta contro un mercato del lavoro iper-competitivo e altre pressioni sociali.
Dall’altra parte del mondo (e del capitalismo) l’osservatorio Autonomy dedicato ai cambiamenti del mondo del lavoro fa sapere che la partica del workaholism è profondamente fuorviante e il suo responsabile James Muldoon dice che "l'intera cultura del dire 'non stai lavorando abbastanza' maschera le disuguaglianze di opportunità che le persone hanno.
(foto Getty Images)